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Intervista a Carmina Campus: quando gli scarti diventano lusso e design

Il suo mantra è “Save waste from waste”. Carmina Campus utilizza materiali industriali, comunemente considerati scarti, come fonte di ispirazione e materia prima per i suoi prodotti. Nelle mani di esperti artigiani italiani questi materiali acquistano nuova vita come parte di oggetti di design.

Carmina Campus unisce i valori del lusso e della bellezza alla responsabilità sociale d’impresa. Il brand è stato creato da Ilaria Venturini Fendi nel 2006, figlia di Anna Fendi, a lungo Shoe Designer del rinomato brand e Direttore Creativo Accessori della linea giovane Fendissime.

È un interessante Case Study che, noi del team di Cikis, troviamo interessante condividere per dimostrare come il concetto della sostenibilità e quello del lusso e dell’originalità possano non solo coesistere, ma anche stimolarsi a vicenda.

Il marchio è nato in un momento in cui Ilaria si era allontanata dal settore dalla moda, apparentemente in modo definitivo. Infatti, aveva già iniziato la sua attività di imprenditrice agricola biologica, a cui si era dedicata dopo aver lavorato a lungo come designer nell’azienda di famiglia.  

Un lavoro amato moltissimo e su cui aveva costruito il suo know-how ma  che, ad un certo punto, aveva perso il suo senso originario. Con l’entrata della finanza nella moda, le collezioni si susseguivano a ritmi sempre più serrati e tutto quello su cui si era lavorato per mesi diventava subito vecchio appena presentato. Questa insoddisfazione, unita alla voglia di natura e di vita all’aria aperta e la necessità di riappropriarsi del proprio tempo, ha fatto sentire ad Ilaria il bisogno di avere uno spazio di relax per i fine settimana. Si è messa, quindi, alla ricerca di un piccolo pezzo di terra vicino Roma.  

Il caso le ha fatto trovare una grande azienda agricola di 174 ettari alle porte della città e di cui si è innamorata subito, I Casali del Pino. Con poche esitazioni, ha deciso di lasciarsi tutto alle spalle per acquistarla e diventare un’imprenditrice agricola biologica. I tempi di rigenerazione della terra, però, sono lunghi (sono necessari tre anni per convertirla al biologico) e cominciava a sentire nostalgia per il lavoro creativo

E’ stato in questo momento che Carmina Campus ha preso forma: il progetto è nato per rispondere ad una necessità creativa che metteva insieme sostenibilità, natura e scopi sociali e non era in conflitto quindi con l’evoluzione della sua consapevolezza in ambito ambientale.

Carmina Campus

Dal 2006, Ilaria ha ricominciato a fare borse e accessori con la stessa cura e passione di quando lavorava nell’azienda di famiglia, utilizzando però  materie prime diverse come campionari, ritagli, scarti e materiali già esistenti e dismessi.

Agricoltura e design, per Ilaria, sono due mondi strettamente connessi. La terra le ha fatto capire quanto sia importante preservare l’ambiente. Ecco perché la prima fonte di ispirazione di questo marchio è stata proprio I Casali del Pino, l’azienda agricola e sede creativa. Il collegamento diretto tra le due realtà avviene infatti con il semplice attraversamento di una porta che collega i due uffici.

Per quanto riguarda l’aspetto sociale, tra i vari progetti intrapresi, ne ha avviato uno in Africa al fine di contribuire all’evoluzione delle comunità. 

Per il brand, l’Africa è stata un’esperienza molto impegnativa, ma che ha  regalato grandi soddisfazioni. Procurare un lavoro è determinante non solo per restituire dignità alle persone, ma anche per creare un vero e proprio tessuto sociale che dal singolo si espande alla famiglia e, poi, alla comunità. 

In Africa, però, non ci si può improvvisare. A volte, per quanto si abbiano buone intenzioni, si può addirittura fare dei danni. Carmina Campus ha infatti dovuto affrontare grandi problemi quando fu avviato il primo progetto di lavoro in Camerun, a causa dell’assenza di un’organizzazione accreditata che collaborasse con il brand sul posto. 

È stata invece determinante la collaborazione con un’agenzia delle Nazioni Unite in Kenya, dove insieme hanno sviluppato un hub per la creazione di micro-imprenditori indipendenti, per lo più donne.  

Carmina Campus contribuiva con il suo design e il know-how di alcuni suoi artigiani portati in loco (oltre a promuovere e commercializzare il prodotto) mentre le Nazioni Unite si occupavano della produzione e della cooperazione, seguendo il programma sul posto con un’agenda sociale che coinvolgeva soprattutto le donne e  promuoveva il loro empowerment

Il progetto (molto impegnativo per tempo e risorse) è stato lasciato dopo svariati anni, quando ormai erano state costruite già delle solide basi per continuare l’attività avviata.

Le collezioni Carmina Campus hanno attirato particolarmente la nostra attenzione, soprattutto perché basati sul recupero di materiali industriali di scarto. Le collezioni del brand si basano infatti sulla disponibilità degli scarti industriali, e non sulla stagionalità.

Questa decisione è stata presa anche perchè Ilaria ha preferito investire la maggiorparte del suo tempo sul suo punto vendita di Roma, RE(f)USE, una boutique del riuso che offre anche prodotti di altri marchi pensati e realizzati con la nostra stessa filosofia. 

Ad esempio, ha appena lanciato “Together for science”, un’edizione limitata di borse realizzata con felpe e shopping di tela dell’Associazione Luca Coscioni.

Carmina Campus

Inoltre, il brand collabora con un noto marchio di design per riutilizzare i loro avanzi di lavorazione.

Il materiale di scarto più usato è la pelle recuperata dai campionari, le pelli intere ma anche i più piccoli ritagli delle cartelle colori, perché in Italia le fiere e le aziende che lavorano cuoio o pelle sono moltissime e questo materiale, peraltro di ottima qualità, è disponibile in abbondanza.

Il marchio ha cominciato lavorando soprattutto con il vintage, per poi effettuare una ricerca di giacenze di magazzino, ritagli e difettati non buoni per il loro scopo originale ma ottimi per diventare parte di una borsa. Infine, sono arrivate le collaborazioni con diverse aziende per trovare un utilizzo creativo ai loro scarti industriali. 

Contrariamente a quello che avveniva prima, infatti, sono i materiali a suggerire temi o modelli per una borsa o un oggetto, mentre nella moda tradizionale si lavora prima sull’idea e dopo su come realizzarla.

Per quanto riguarda la percezione da parte del consumatore finale della qualità dei materiali utilizzati, nonostante lavorare con materie prime preziose presenti un risultato diverso, l’originalità e l’unicità del pezzo sono gli aspetti principali che permettono all’articolo di acquisire un valore inestimabile.

Quelli di Carmina Campus sono infatti pezzi unici e spesso numerati, a volte dei veri e propri prototipi che richiedono tempo e lunghe lavorazioni. Non vi sono riferimenti stagionali, né produzioni seriali, ma piccole collezioni che nascono per l’utilizzo di un certo materiale e finiscono quando si esaurisce.  

Carmina Campus crede fermamente nel valore della collaborazione e condivisione delle idee, perché solo con uno sforzo comune si potrà sperare di trovare soluzioni ai problemi ambientali, economici e sociali.

 

 

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Francesca Poratelli
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Dopo un’esperienza lavorativa in Yamamay ha deciso di specializzarsi nel campo della sostenibilità. Si è occupata di assessment di sostenibilità ambientale e sociale per aziende che spaziano dall’abbigliamento outdoor al merchandising tessile.

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