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Indici di sostenibilità e benchmark: i limiti degli strumenti a servizio della sostenibilità

Come comunicare ai consumatori la “sostenibilità” delle pratiche aziendali? 

Come differenziare la propria azienda dai competitors?

Per rispondere a queste domande, un sistema ampiamente utilizzato nel settore moda è il ricorso a indici di sostenibilità e benchmarks, entrambi fondati su indicatori. 

Tuttavia, l'uso crescente di questi strumenti non è stato accompagnato da una riflessione sistematica sulle relative opportunità e insidie. Scarsa attenzione, in particolare, è stata prestata ai processi sui cui si fonda la creazione degli indici di sostenibilità e sui condizionamenti derivanti dalla scelta degli indicatori e dei dati.

A fronte di risultati che tendono a essere divergenti a seconda degli indicatori utilizzati, sono significativi i potenziali rischi, dal punto di vista giuridico, teorico e pratico. Infatti, se non correttamente applicati, indicatori e benchmark rischiano di diventare un boomerang per le imprese, come si evince dagli esempi che seguono.

Higg Index, Sustainable Apparel Coalition (SAC)

 

Costituito da un insieme coordinato di strumenti che consente di misurare e assegnare un punteggio alle prestazioni di sostenibilità di un'azienda o di un prodotto, l’Higg Index si prefigge di fornire una panoramica olistica che consenta alle imprese di apportare miglioramenti significativi, al fine di assicurare il benessere dei lavoratori, delle comunità locali e dell'ambiente.

Nell’ultimo anno questo indice - e in particolare il Material Sustainability Index (MSI) - è stato duramente criticato. Infatti, contestualmente all’inchiesta del New York Times, che sollevava perplessità circa la veridicità dei dati e la bontà dei metodi di calcolo adottati, nel giugno 2022 la Norwegian Competition Authority (NCA) ha proibito, in quanto fuorviante, l’utilizzo dell’Higg Index da parte del brand Norrøna, che vi aveva fatto ricorso per avvalorare dichiarazioni ambientali concernenti il proprio cotone biologico. L’NCA ha, altresì, inviato una nota a H&M intimando al gruppo del fast fashion di sospendere l’utilizzo dello strumento, pena l’irrogazione di sanzioni pecuniarie. 

Le censure dell’NCA hanno travolto sia la tipoligia di dati utilizzati dalla SAC che la metodologia di calcolo, pervenendo alla conclusione che le affermazioni fondate sull’indice non fossero comprovabili in quanto la documentazione utilizzata era parzialmente obsoleta, lo strumento non era stato concepito in ottica comparativa e non considerava tutti gli impatti ambientali rilevanti lungo il ciclo di vita del prodotto

Ciò ha comportato la sospensione dell’MSI fino al rilascio di una nuova versione aggiornata, nonchè l’avvio di una fase di negoziazioni, a cui ha preso parte anche la Netherlands Authority for Consumers and Markets (ACM), conclusasi nell’ottobre 2022 con l’emanazione delle Guidelines for the clothing sector regarding the use of Higg MSI, che contengono stringenti indicazioni per circoscrivere e contestualizzare le informazioni consumer-facing fondate sull’Indice.

Sebbene la Sustainable Apparel Coalition stia ora cercando di ripristinare la fiducia nei suoi strumenti di valutazione della sostenibilità, alcuni importanti players, tra cui Kering e Adidas, hanno già preso le distanze dall’Indice, onde scongiurare rischi.

Business of Fashion (BoF) Sustainability Index 

 

Pubblicato annualmente e curato dalla prestigiosa rivista Business of Fashion in sinergia con un gruppo di esperti, il benchmark registra le performances dei 30 maggiori brand del settore moda in termini di allineamento agli SDGs e agli obiettivi sul clima. Nella relazione che accompagnava la prima edizione dell'Indice, nel 2021, si leggeva che il lavoro di ricerca era risultato particolarmente impegnativo e ostacolato da una rendicontazione disomogenea, da dati scarsi e da un dedalo di complessità, in quanto le informazioni e gli approcci delle aziende variavano, spesso erano affidati a certificazioni gestite da enti terzi e si tendeva a utilizzare una vasta mole di informazioni per “mascherare azioni limitate".

Nel 2022, l’analisi è stata condotta su sei macro-aree: emissioni, trasparenza, acqua e sostanze chimiche, materiali, diritti dei lavoratori e rifiuti. I risultati comprendono oltre 9.000 dati, raccolti e analizzati attraverso circa 200 metodologie proprietarie. I risultati hanno delineato un quadro allarmante: il punteggio medio delle 30 aziende valutate è stato di 28 su 100 e nessuna di esse è parsa sulla buona strada per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite o la riduzione del 45% delle emissioni di gas serra (GHG) prevista dall'Accordo di Parigi.

Pur pervenendo a conclusioni analoghe, un dettagliato report pubblicato a gennaio 2023 dal Geneva Center for Business and Human Rights ha fortemente criticato il BoF Sustainability Index. Stando all’analisi, il benchmark non prenderebbe in considerazione il fatto che il greenwashing e l'SDG Washing pervadano l’industria moda e che la concezione di "sostenibilità" si concentri quasi interamente su presupposti errati. In particolare, si asserisce che le imprese del settore moda e abbigliamento possano diventare sostenibili semplicemente cambiando tipologie di fibre o optando per materiali "preferred", sebbene questa conclusione non sia veritiera nè avvalorabile sulla base dei dati provenienti dall’industria. 

Pur non contestando l’utilità in termini astratti dello strumento, il Report sottolinea come il sistema di raccolta e comparazione dei dati adottato da BoF risulti insufficiente per valutare le “reali” performances di sostenibilità delle aziende. Secondo le autrici, le informazioni necessiterebbero di essere affinate in modo significativo e occorrerebbe fare pressione sulle imprese per ottenere dati più dettagliati, onde scongiurare il rischio di riportare nozioni errate su ciò che costituisce una metrica di sostenibilità e ad affidarsi a benchmarks fallaci per misurare i risultati ottenuti.

La risposta di BoF non si è fatta attendere: in un articolo del 19 gennaio 2023, la prestigiosa rivista riconose che il benchmark si fonda prevalentemente sugli input e informazioni che le aziende scelgono volontariamente di rendere pubbliche, con potenziali gap e criticità. Tuttavia, si asserisce che strumenti come l'Index possono offrire uno spunto per monitorare gli sforzi del settore, pur nella consapevolezza dei limiti dei dati disponibili. Il crescente controllo normativo del settore potrebbe, peraltro, aiutare a migliorare la qualità delle informazioni con cui BoF e altri indici devono lavorare. 

In breve, BoF sostiene che valutazioni rigorose dei dati pubblicamente disponibili, imperfetti o meno, possono creare un circolo virtuoso. Infatti, attivisti e consumatori possono disporre di informazioni - molto più facili da analizzare rispetto a un Report di sostenibilità aziendale di 200 pagine - per fare pressione sulle aziende. I benchmark possono altresì incentivare le aziende a fare meglio, al fine di mantenere un buon posizionamento sul mercato rispetto ai competitors.

Product Environmental Footprint (PEF), Unione Europea

 

Il PEF è una metodologia basata sul Life Cycle Assessment (LCA), che consente di quantificare l'impatto ambientale di prodotti o servizi considerando tutte le fasi del ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime alla gestione del fine vita. I lavori sullo sviluppo della metodologia, cui partecipano anche i rappresentanti dell'industria tessile, sono in corso e dovrebbero concludersi entro il 2024. 

Sebbene la nella Strategia dell’UE per prodotti Tessili Sostenibili e Circolari descriva il PEF uno strumento chiave “per corroborare e comunicare le autodichiarazioni ambientali, dimostrando in questo modo il rispetto delle norme più generali in materia di protezione dei consumatori”, la metodologia è stata fortemente criticata da più parti.

Due Lettere aperte rivolte alla Commissione, firmate da 12 ONG (tra cui Fashion Revolution, Fair Wear Foundation, Clean Clothes Campaign) e dalla coalizione Make The Label Count, ne hanno sottolineato svariati aspetti critici, fra i quali: 

  • assenza di coinvolgimento di rappresentanti della società civile;
  • scarsa qualità dei dati; 
  • mancata considerazione dell'intero ciclo di vita dei prodotti; 
  • assenza di analisi degli impatti sociali;
  • indiretta preferenza per la fibra di poliestere riciclato;
  • assenza di valutazione del rilascio di micropastiche e della generazione di rifiuti in plastica, in ottica di circolarità;
  • mancata considerazione dell'impatto della sovrapproduzione;

Anche Euratex, organizzazione che rappresenta i produttori tessili e dell’abbigliamento europei, ha affidato a un Position Paper alcune riserve rispetto al PEF. Nello specifico, ha richiesto di migliorare lo strumento, che appare ancora troppo ancorato a un discorso teorico anzichè alle reali pratiche dell’industria. Euratex ha proposto di introdurre un sistema modulare, alla portata di tutte le imprese coinvolte nella catena di approvvigionamento (anche di minori dimensioni), che assicuri:

  • volontarietà nell’adesione
  • trasparenza
  • armonizzazione rispetto a indici diversi
  • dati affidabili, veritieri e verificabili su basi scientifiche
  • accessibilità in termini di costi
  • facilità di utilizzo, senza aggravi burocratici
  • flessibilità
  • regolare revisione e aggiornamento

In breve, si comprende come, nonostante il PEF non sia ancora stato approvato, siano molto pervasive le perplessità circa l’effettiva qualità dei dati ingenerati mediante l’utilizzo di questa metodologia. 

Il supporto di Cikis

 

I limiti degli attuali benchmark e indicatori mostrano chiaramente come la misurazione dell'impatto di prodotti o processi nel settore moda sia sfaccettata e complessa. 

Ciascuna delle diverse iniziative sopra descritte si fonda su indicatori divergenti o li pondera in modo diverso; di conseguenza, il risultato ottenuto da uno strumento potrebbe non essere coerente con quello ottenuto da un altro. 

Attualmente, non esiste uno strumento prevalente che fornisca una misura definitiva e unanime dell'impatto ambientale, per cui spetta alle aziende adottare un approccio olistico quando sviluppano una strategia di sostenibilità.

Cikis può fornire assistenza in questo processo, supportando le aziende nella scelta degli indicatori e dei benchmark più adatti, scongiurando il rischio di omissioni o di divulgazione di informazioni scorrette.

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Sara Cavagnero
Per garantire la compliance alle normative europee

Avvocato specializzato in proprietà intellettuale e moda sostenibile, Ph.D. Researcher in IP & sustainable fashion alla Northumbria. È Esperta di Tracciabilità UNECE e Law & Sustainability Expert per la no profit rén collective.

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